The Elephant Man
a cura della prof.ssa Angiolina Di Capua
Una riflessione sul concetto di «doppio» inteso come «freak» e «mostruoso», nel cinema, attraverso le opere del regista statunitense David Lynch. È stata questa la lezione tenuta dal professor Denis Lotti dell’Università di Padova all’Istituto Masotto nell’ambito della rassegna cinematografica Specchi di Perseo dedicata al tema dell’Alterità. In particolare, il docente di Storia e Critica del Cinema ha scelto di focalizzarsi sui primi due lungometraggi della carriera del celebre regista, Eraserhead e The Elephant Man, poiché efficaci nel mettere in scena l’Alterità attraverso la manifestazione del «mostruoso» da intendere nelle sue accezioni di volta in volta relative e spiazzanti.
Con la pellicola del 1980, ispirata alla storia vera del deforme Joseph Merrick, lo spettatore è portato a porsi l’emblematico quesito sul reale significato di «mostruoso» e a chiedersi chi sia davvero il mostro, l’uomo deforme a causa di una malattia o la folla tumultuante che vuole linciarlo perché lo teme? Secondo il professor Lotti, «l’intento di Lynch non è quello di creare un tribunale moralistico, quanto quello di svelare, in termini teatrali, il caleidoscopio di caratteri potenzialmente infiniti che riguarda ogni singolo uomo e la sua espressione collettiva, la società. In entrambi i film i personaggi entrano ed escono dalla realtà per immergersi nel sogno e nell’incubo in una sorta di rispecchiamento.»
Lynch si serve degli stereotipi per arrivare a sezionarli, contraddirli, sovvertirli, in un ribaltamento delle prospettive che rivela la fragilità e sottigliezza del concetto di «normalità» sotto il cui sigillo giace un abisso spaventoso fatto di frustrazioni e privo di redenzione.Per gli studenti che hanno partecipato alla proiezione e analisi delle opere lynchiane, l’attenzione critica si è concentrata sui concetti di singolo e di massa, di identità e di alterità, esaminando come il manicheismo che conduce l’individuo a suddividere il mondo in netti compartimenti stagni con il bene contrapposto al male nasconda in verità insidie e inquietudini che, osserva il professor Lotti, «rischiano, in nome di un malriposto bene comune, di rifugiarsi nell’irrazionale e, pertanto, nella violenza, soprattutto contro il diverso il debole, l’emarginato.» I film di Lynch sollevano un dubbio costruttivo e spiazzante, oltre ogni convinzione acquisita, che coinvolge noi stessi e l’Altro, un diverso che vogliamo – spesso per paura – non riconoscere come appartenente al nostro mondo e, quindi, alla proiezione della nostra identità.
Lynch ritrae una società urbana massificata, percorsa da paura e ignoranza che sfociano in una violenza cieca e dalle tante sfumature, fisica, verbale, psicologica. Come sottolineato dal docente dell’ateneo padovano, emerge anche una violenza di “classe” che pone ricchi contro poveri, sani contro malati, con i ruoli pronti a interscambiarsi quando i veri malati non corrispondono alle persone affette da patologie deturpanti. I pregiudizi, infatti, a ben vedere riguardano anche scienziati e borghesi, non solo il volgo ignorante.
Evidente, dunque, il legame con l’attualità. In tempi di massificazione mediale e telematica, «rigurgiti di irrazionalità collettiva sembrano riguardare anche la realtà odierna in cui emergono insistenti e minacciose forze tendenti alla disgregazione di una idea di società votata alla solidarietà e all’aiuto verso il più debole, dove l’Altro è sempre più spesso anche colui che arriva da lontano.»D’altronde Lynch conduce lo spettatore a scoprire che l’additato “mostro” ha paura, la stessa paura che prova ogni essere umano se perseguitato, vilipeso, umiliato. Soltanto leggendo le sfaccettature più profonde della natura umana, si può recuperare un senso pieno e autentico di umanità e rifuggire da ogni tentazione di odio e discriminazione.