Oltre l’ultimo orizzonte di The zone of interest (La zona d’Interesse)
Nel film di Jonathan Glazer la prima cosa che compare è un bosco: stessa composizione bucolica di Manet, stessa luce. Si scorge da dietro i tronchi una famigliola che prende il sole in riva ad un corso d’acqua. Una famiglia qualsiasi, anonima, nulla di speciale insomma.
Ma la scandalosa indecenza arriva piano piano nel vuoto orrorifico dei protagonisti di questa pellicola.
Questo film pieno di allegorie e dettagli, colpisce moltissimo per l’asettica nitidezza delle immagini. La maestria della regia si nota anche dal montaggio che riesce a rappresentare, oltre ogni retorica, l’irrapresentabile. Inquadrature fisse e profondità di campo ci fanno seguire le vicende di questa felice famigliola da una certa distanza.
Ma la morte continua ad essere ovunque: nel fiume utilizzato come canale di scolo per le ceneri dei forni crematori dove spesso la famiglia Höss va a fare il bagno. Nei denti trovati dai figli del comandante, nella pelliccia sporca di sangue che prova Hedwig, ma anche nelle teste appese dei cervi in casa.
Il regista decide di non farci vedere la faccia del male, non ci fa entrare nel campo di concentramento di Auschwitz, nessuna violenza esplicitata, tutto scorre in un crescendo di emozioni angoscianti. L’assenza, la cancellazione, la vergogna fanno si che questo film dia l’opportunità di amplificare i sensi e le sensazioni imbavagliandole.
Solo i figli e la nonna di tanto in tanto abbozzano qualche indizio di indulgenza, forse per ingenuità, forse per l’età. Ma Glazer riesce a trasportarci in questo abisso mostruoso, abberrante a tratti insostenibile dove i protagonisti vivono come assolutamente normale la morte di propri simili.
E mentre Rudolf Höss scende una rampa di scale nel buio che avanza, come se il male lo inghiottisse, anche nella totale mancanza di empatia, il male trabocca, e si ritrova a dover controllare conati di vomito che ci riportano al presente.
Di nuovo un presente asettico, dove alcune immagini del lager di oggi vengono pulite e lucidate, ridimemsionate a ‘normale’ museo.
Höss ha deciso di voltare lo sguardo dall’altra parte e di ignorare la sofferenza. Questo sentimento disumano ci costringe a non sentirci innocenti e ci sprona a non ignorare i drammi di oggi.
Prestiamo attenzione al presente.
"Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo esclude
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quiete
io nel pensier mi fingo; ove per poco
il cor non si spaura”
G.Leopardi - 1826