Oltre l’ultimo orizzonte di The zone of interest (La zona d’Interesse)


 A cura di Michela Benvegnù

Manet preparò nel 1862 Le Déjeuner sur l’herbe con molta dedizione. La Colazione sull'erba fu al centro di uno dei più clamorosi scandali dell'intera storia dell’arte. I benpensanti della borghesia di Parigi infatti si indignarono di fronte alla donna nuda dipinta da Manet, e tacciarono l'intero quadro di una scandalosa «indecenza».
Nel film di Jonathan Glazer la prima cosa che compare è un bosco: stessa composizione bucolica di Manet, stessa luce. Si scorge da dietro i tronchi una famigliola che prende il sole in riva ad un corso d’acqua. Una famiglia qualsiasi, anonima, nulla di speciale insomma.
Ma la scandalosa indecenza arriva piano piano nel vuoto orrorifico dei protagonisti di questa pellicola.


Il film è un adattamento cinematografico del romanzo omonimo del 2014 di Martin Amis. La trama del ‘film che si vede' è molto semplice: la vita quotidiana della famiglia di Rudolf Höss (Christian Friedel), comandante del campo di concentramento di Auschwitz, marito di Hedwig (Sandra Huller) e padre di cinque figli. Li si osserva dentro e fuori la loro casa, una grande abitazione circondata da un giardino meticolosamente curato, concimato da un concime speciale, ovvero la cenere dei corpi che arrivano dai forni crematori, che lo rendono meraviglioso come il giardino dell’Eden. La famiglia di Höss  vive nella cosiddetta zona d’interesse, un’area di circa 40 chilometri quadrati attorno al campo, amministrata dalle SS e isolata in modo che nessuno potesse testimoniare gli orrori che venivano compiuti all’interno del campo.
Questo film pieno di allegorie e dettagli, colpisce moltissimo per l’asettica nitidezza delle immagini. La maestria della regia si nota anche dal montaggio che riesce a rappresentare, oltre ogni retorica, l’irrapresentabile. Inquadrature fisse e profondità di campo ci fanno seguire le vicende di questa felice famigliola da una certa distanza.


Ma la morte è ovunque e non c’è traccia di umanità in queste persone che vivono nella normale indifferenza questo tragico dramma. Jonathan Glazer utilizza anche la tecnica del contrappunto, dove nella realtà tutto è nitido, perfetto sterile ma viene spezzato da sequenze in bianco e nero quasi fossero dei sogni. Piccoli accenni di umanità nel quale una ragazzina (l’adolescente polacca) distribuisce mele ai prigionieri, una partigiana insomma, che nel buio della notte corre con la sua bicicletta rischiando la vita.
Ma la morte continua ad essere ovunque: nel fiume utilizzato come canale di scolo per le ceneri dei forni crematori dove spesso la famiglia Höss va a fare il bagno. Nei denti trovati dai figli del comandante, nella pelliccia sporca di sangue che prova Hedwig, ma anche nelle teste appese dei cervi in casa. 



Il regista decide di non farci vedere la faccia del male, non ci fa entrare nel campo di concentramento di Auschwitz, nessuna violenza esplicitata, tutto scorre in un crescendo di emozioni angoscianti. L’assenza, la cancellazione, la vergogna fanno si che questo film dia l’opportunità di amplificare i sensi e le sensazioni imbavagliandole. 
Ci fa però ‘sentire’ attraverso un lavoro sul suono straordinario e le musiche della compositrice britannica Mica Levi, le urla alienanti, gli spari e le atrocità della guerra in atto. 

Solo i figli e la nonna di tanto in tanto abbozzano qualche indizio di indulgenza, forse per ingenuità, forse per l’etàMa Glazer riesce a trasportarci in questo abisso mostruoso, abberrante a tratti insostenibile dove i protagonisti vivono come assolutamente normale la morte di propri simili.

E mentre Rudolf Höss scende una rampa di scale nel buio che avanza, come se il male lo inghiottisse, anche nella totale mancanza di empatia, il male trabocca, e si ritrova a dover controllare conati di vomito che ci riportano al presente.


Di nuovo un presente asettico, dove alcune immagini del lager di oggi vengono pulite e lucidate, ridimemsionate a ‘normale’ museo.


Höss ha deciso di voltare lo sguardo dall’altra parte e di ignorare la sofferenza. Questo sentimento disumano ci costringe a non sentirci innocenti e ci sprona a non ignorare i drammi di oggi.


Prestiamo attenzione al presente.




                                                     

  "Sempre caro mi fu quest’ermo colle, 

e questa siepe, che da tanta parte

dell'ultimo orizzonte il guardo esclude

Ma sedendo e mirando, interminati

spazi di là da quella, e sovrumani          

silenzi, e profondissima quiete

io nel pensier mi fingo; ove per poco

il cor non si spaura”


G.Leopardi - 1826